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«Vivere di cuore»

del numero: Anno XLVIII n. 11 Novembre 2017

di fr. FRANCESCO SCARAMUZZI OFM Cap.

 

Nell’accingermi a scrivere questo editoriale, ho voluto prendere spunto da una lettera di Padre Pio indirizzata a padre Benedetto, il 20 novembre 1921 (cfr. Epist. I, pp. 1246-1248). L’intera epistola meriterebbe più di qualche riga di considerazione, data l’intensità della scrittura e la profondità del pensiero in essa espresso.
Tutto nasce dallo stato d’animo di profonda scontentezza e di costante lamento espressi in una precedente missiva da padre Benedetto. Ciò dà occasione a Padre Pio per fissare un principio, capace, se accolto e vissuto con fiducia, di guarire le ferite dell’anima causate da tristezza e insoddisfazione che spesso attanagliano la vita: ciascuno è amato da Dio oltre misura e merito. Ciò dovrebbe indurci a smetterla di lamentarci e a cominciare, quindi, a vivere la gratitudine come sentimento primario della nostra esistenza, non solo verso Dio, ma anche verso i fratelli. L’indicazione di Padre Pio, come è facile immaginare, non si sofferma, però, al livello del principio, ma è corredata e rafforzata dalla sua stessa esperienza: «Sono divorato dall’amore di Dio e dall’amore del prossimo. Dio per me è sempre fisso nella mente e stampato nel cuore. Mai lo perdo di vista: mi tocca ammirare la sua bellezza, i suoi sorrisi, ed i suoi turbamenti, le sue misericordie, le sue vendette o meglio i rigori della sua giustizia» (Epist. I, p. 1247). Come è possibile – si chiede ancora – vedere Dio e i fratelli se si è avvelenati dalla tristezza e dal lamento che ci fanno ripiegare su noi stessi, impedendoci di alzare lo sguardo? Questa semplice indicazione, se ben colta, può aprire uno squarcio inatteso sulla nostra esistenza e sul modo in cui la conduciamo. Nessuna tristezza o insoddisfazione, sembra dirci Padre Pio, può distrarci dallo scopo primario che la nostra vita dovrebbe realizzare: vivere di cuore. Che non è una semplice quanto banale disposizione affettiva alla vita, quanto piuttosto una consapevole e ragionata comprensione di sé come amati per primi e perciò chiamati a vivere dello stesso amore ricevuto. San Francesco – la cui memoria abbiamo celebrato da poco – parlerebbe di «Amore amato», vale a dire di esistenza tutta spesa ad amare chi ci ha amato per primo, Dio, e con lui i fratelli, che di questo amore sono destinatari tanto quanto noi. Semplice, no? No. Nemmeno per san Pio, che nella stessa lettera riconosce come sia «brutta cosa vivere di cuore!» (ibidem). Perché il cuore che ama brucia sempre, lascia costantemente inquieti, spinge continuamente a morire a sé stessi. Ma «vivere di cuore» è anche l’unico modo per realizzarsi pienamente come uomini e come cristiani: «Bisogna morire in tutti i momenti di una morte che non fa morire se non per vivere morendo e morendo vivere» (Epist. I, pp. 1247-1248). Cari fratelli, dunque, nessuna tristezza, nemmeno quella causata dal fallimento, dalle relazioni mal riuscite, dai progetti irrealizzati, dalle sconfitte di cui facciamo esperienza continuamente, dalla perdita dei nostri cari – di cui in questo mese in modo particolare commemoriamo il ricordo – può privarci della gioia che scaturisce dal sapersi amati da Dio, nonostante tutto. La gioia cristiana, come ci ricorda Papa Francesco, «non è allegria di un momento», ma è dono che ci riempie dentro, perché nasce dalla sicurezza che Gesù è con noi e con il Padre. Una gioia, continua il Papa, «che non può diventare ferma: deve andare. Essa è una virtù pellegrina. È un dono che cammina, che cammina sulla strada della vita, cammina con Gesù: predicare, annunziare Gesù, la gioia, allunga la strada e allarga la strada. È proprio una virtù dei grandi, di quei grandi che sono al di sopra delle pochezze, che sono al di sopra di queste piccolezze umane, che non si lasciano coinvolgere in quelle piccole cose interne della comunità, della Chiesa: guardano sempre all’orizzonte» (Papa Francesco, Omelia Santa Marta, 10 maggio 2013). La gioia che siamo chiamati a vivere, perciò, è quella dei grandi che hanno «vissuto di cuore», allargando il proprio sguardo oltre loro stessi. Tra questi, Maria di Nazareth, pellegrina della gioia, la cui immagine sacra di Fatima accoglieremo ancora una volta a San Giovanni Rotondo dal 15 al 27 novembre.

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