
di fr. FRANCESCO DILEO, OFM Cap.
Abbiamo avuto la possibilità di ridare ai fedeli l’accesso in chiesa durante le Celebrazioni eucaristiche in una data significativa: il 18 maggio. Nel giorno in cui, 100 anni fa, a Wadowice, una laboriosa cittadina della Polonia meridionale, nasceva colui che avrebbe scritto l’enciclica Ecclesia de Eucharistia. In questo importante testo, san Giovanni Paolo II ci spiega che «la Chiesa ha ricevuto l’Eucaristia da Cristo suo Signore non come un dono, pur prezioso fra tanti altri, ma come il dono per eccellenza, perché dono di se stesso, della sua persona nella sua santa umanità, nonché della sua opera di salvezza» (EdE, 11). «In questo modo – si legge più avanti – l’Eucaristia applica agli uomini d’oggi la riconciliazione ottenuta una volta per tutte da Cristo per l’umanità di ogni tempo» (ivi, 12). Ma non a tutti gli uomini. Solo a quelli che accolgono questo dono. Infatti «l’efficacia salvifica del sacrificio si realizza in pienezza quando ci si comunica ricevendo il corpo e il sangue del Signore», poiché «il Sacrificio eucaristico è di per sé orientato all’unione intima di noi fedeli con Cristo attraverso la comunione» (cfr. ivi, 16; Gv 6,53). Più semplicemente, l’Eucaristia può essere definita
un’«anticipazione del Paradiso», in quanto «la carne del Figlio dell’uomo, data in cibo, è il suo corpo nello stato glorioso di risorto » (cfr. ivi, 18). Nello stesso documento il Pontefice, due anni prima di terminare il suo cammino terreno, ha “consegnato” alla Chiesa il “programma” da attuare nel «terzo millennio»: «Contemplare il volto di Cristo». Un “programma” che si realizza nel «saperlo riconoscere dovunque Egli si manifesti, nelle sue molteplici presenze, ma soprattutto nel Sacramento vivo del suo corpo e del suo sangue» (cfr. ivi, 6). «Soprattutto», scrisse il Papa oggi santo. Essenzialmente, potremmo aggiungere per rendere il concetto ancora più chiaro e inequivocabile e per sottrarlo a distorte interpretazioni. Soprattutto, essenzialmente, ma non solo. I 49 cristiani della città tunisina di Abitene (20 uomini e 19 donne), che nel 304 si rifiutarono di obbedire al divieto dell’imperatore Diocleziano di celebrare l’Eucaristia domenicale, risposero alle
torture e affrontarono la morte pronunciando la celebre frase: «Sine dominico non possumus» (Senza celebrare il giorno del Signore non possiamo vivere). E testimoniarono questa verità con il martirio. Padre Pio, giustamente, affermava: «Il mondo potrebbe stare anche senza sole, ma non può stare senza la santa Messa» (Buona giornata, p. 106). Ciò significa che l’Eucaristia è fondamentale. Ma non possiamo e non dobbiamo escludere altri aspetti del nostro vivere in Cristo, con Cristo e per Cristo, che si manifesta «dovunque». Le cui «presenze» sono «molteplici». Nel mese di maggio, come ogni anno, abbiamo recitato il Rosario serale con i giovani. Non in piazza, come in passato, ma nella cripta del Santuario, collegandoci con i ragazzi mediante la piattaforma Zoom. Prima di meditare i misteri, l’intenzione di preghiera veniva suggerita da un testimone della realtà da raccomandare al Signore. La prima sera ci siamo collegati con mons. Derio Olivero, vescovo di Pinerolo, dal reparto di rianimazione dove era ancora ricoverato e dove si è sentito vicino alla morte a causa del coronavirus, che ci ha raccomandato: «La Chiesa sappia fare tesoro di questa tragica epidemia. Nessuno pensi che è stata una brutta parentesi. Io credo profondamente alla Messa. Io quando celebro sono in Paradiso, quando celebro mi perdo, rinasco. Ma se c’è solo quello e non c’è nient’altro, il cristianesimo è già finito. Ci sono parrocchie dalle nostre parti dove c’è solo la Messa e non c’è altro. Quest’epidemia ci ha dato l’occasione di scoprire altre strade. Quanto tutto sarà finito, non torniamo indietro. Percorriamo queste strade, costruiamo una Chiesa nuova, la Chiesa che sogna papa Francesco, una Chiesa al servizio dell’umano, una Chiesa in uscita». Il lungo e forzato periodo di digiuno eucaristico che abbiamo vissuto ci aiuti, dunque, a riscoprire l’importanza di questo Sacramento, ma anche a comprendere che Gesù si fa presente anche nel volto dei fratelli, soprattutto dei più bisognosi di un aiuto materiale o spirituale.