
di fr. FRANCESCO SCARAMUZZI OFM Cap.
Lo scorso 14 febbraio, con la celebrazione del mercoledì delle ceneri, abbiamo cominciato il tempo della Quaresima. Tempo di nuovo inizio, di cammino che conduce verso una meta sicura: la Pasqua di Risurrezione, la vittoria di Cristo sulla morte.
La liturgia della Parola delle cinque domeniche che scandiscono la Quaresima, al cui centro risuona potente la parola dei vangeli di Marco e di Giovanni, ci rivolge un invito pressante alla conversione: ciascuno di noi è chiamato a ritornare a Dio con tutto il cuore (cfr. Gl, 2,12). In particolare, la prima domenica, con il brano della tentazione di Gesù da parte di Satana (cfr. Mc 1,12-15), ci invita a disporre i cuori all’ascolto della Parola, affinché si compia una vera conversione per giungere alla Pasqua nella gioia dello Spirito. «Tentazione», «conversione» e «gioia», costituiscono le tre tappe del «ritorno» a Dio.
Ciascuno di noi, infatti, è costantemente esposto alla tentazione di mettere se stesso al centro della propria vita; a scegliere «contro Dio» o «come se Dio non fosse dato» (Ugo Grozio); a fare della logica degli uomini, l’unica logica possibile e vincente. La stessa realtà del male, incarnata dal diavolo tentatore del Vangelo, allude alla separazione, all’allontanamento da Dio che nella nostra vita la scelta del male produce (il termine diavolo, dal greco dia-bàllein, significa proprio «separare», «porre barriera», «porre frattura»).
Lì dove c’è la scelta del male che ci allontana da Dio, ci imbruttisce e ci disumanizza, lì irrompe l’amore di Dio, manifestato e compiuto in Gesù Cristo, che ci dice che l’unica via verso la felicità piena non è il ripiegamento su se stessi, né l’adozione incondizionata della logica degli uomini, la quale mette esclusivamente al centro dell’esistenza il proprio interesse, anche a costo degli altri, ma il dono di sé. L’irruzione dell’amore di Dio, perciò, diventa appello a invertire senso, a cambiare modo di pensare e di vivere, a vedere le cose da un’altra prospettiva: quella di Dio.
Questo cambiamento, che consegue dall’incontro con l’amore di Dio offerto a tutti, senza esclusione, produce «gioia» evangelica, quella che scaturisce dal dono di sé a Dio e agli altri: «C’è maggior felicità nel dare che nel ricevere!» (At, 20,35).
È risaputo con quanta attenzione san Pio vivesse la Quaresima, col pensiero sempre rivolto a Dio, tra penitenze e preghiere. Anche noi siamo invitati in questo cammino di preparazione alla Pasqua a distogliere lo sguardo da noi stessi, a viverlo come «tempo di benefica “potatura” della falsità, della mondanità, dell’indifferenza», e ad accostarci al perdono di Dio evitando tre ostacoli: blindare le porte del cuore, vergogna ad aprirle, allontanarsene (omelia di papa Francesco, mercoledì delle Ceneri, 10 febbraio 2016). Il digiuno, la preghiera e l’elemosina – pratiche tipiche della Quaresima – in fin dei conti, vogliono proprio indicare la via che conduce a Dio e all’altro: non saziare solo noi stessi; avere il pensiero sempre rivolto a Dio; donare agli altri un po’ di ciò che siamo e abbiamo. Solo in questo modo moriamo a noi stessi e produciamo frutto (cfr. Gv 12,20-33, V domenica di Quaresima), rimettendo al centro della nostra esistenza ciò che genera la gioia della Pasqua: il dono di sé per amore.