
Anno LV – n. 11 – Novembre 2024
di fr. FRANCESCO DILEO, OFM Cap.
Ancora una volta Papa Francesco è riuscito a stupire: dentro e fuori dalla Chiesa, estimatori e critici, cosiddetti “tradizionalisti” ed etichettati “progressisti”.
L’ultima sua enciclica, Dilexit nos, sull’amore umano e divino del Cuore di Gesù Cristo, riprende, spiega e attualizza un’antica devozione, diffusasi soprattutto nel secolo scorso, dopo che Leone XIII, con un decreto del 28 giugno 1889, innalzò «a rito di prima classe la festa del Sacro Cuore» e dopo che lo stesso Papa Pecci, per l’anno santo del 1900, con un’enciclica, ordinò che in tutte le chiese si leggesse una formula di consacrazione dell’intera umanità, da lui composta. «Poiché il sacro Cuore è il simbolo e l’immagine trasparente dell’infinita carità di Gesù Cristo, che ci sprona a rendergli amore per amore – spiegò il Pontefice – è quanto mai conveniente consacrarsi al suo augustissimo Cuore, che non significa altro che donarsi e unirsi a Gesù Cristo» (Annum sacrum).
Nel testo di Dilexit nos, il Santo Padre ricorda che, in tempi più recenti, «Giovanni Paolo II ha presentato lo sviluppo di questo culto nei secoli passati come una risposta alla crescita di forme di spiritualità rigoriste e disincarnate che dimenticavano la misericordia del Signore, ma allo stesso tempo come un appello attuale davanti a un mondo che cerca di costruirsi senza Dio». Segue la citazione di una catechesi di Papa Wojtyla dell’8 giugno 1994: «La devozione al Sacro Cuore, così come si è sviluppata nell’Europa di due secoli fa, sotto l’impulso delle esperienze mistiche di Santa Margherita Maria Alacoque, è stata la risposta al rigorismo giansenista, che aveva finito per misconoscere l’infinita misericordia di Dio. […] L’uomo del Duemila ha bisogno del Cuore di Cristo per conoscere Dio e per conoscere se stesso; ne ha bisogno per costruire la civiltà dell’amore». E, secondo l’attuale Pontefice, ne ha bisogno soprattutto nella presente fase storica, in cui «all’interno della Chiesa stessa il dannoso dualismo giansenista è rinato con nuovi volti. Ha acquistato nuova forza negli ultimi decenni, ma è una manifestazione di quello gnosticismo che già danneggiava la spiritualità nei primi secoli della fede cristiana, e che ignorava la verità della “salvezza della carne”» (87). «Oggi – evidenzia Papa Francesco – più che al giansenismo, ci troviamo di fronte a una forte avanzata della secolarizzazione, che aspira ad un mondo libero da Dio. A ciò si aggiunge che si stanno moltiplicando nella società varie forme di religiosità senza riferimento a un rapporto personale con un Dio d’amore, che sono nuove manifestazioni di una “spiritualità senza carne”» (ibidem).
Dopo aver spiegato che «nel greco classico profano il termine kardía indica ciò che è più interiore negli esseri umani» (3) e che, pertanto, convenzionalmente «per esprimere l’amore di Gesù si usa spesso il simbolo del cuore» (2), il Santo Padre afferma: «Nel cuore trafitto di Cristo si concentrano, scritte nella carne, tutte le espressioni d’amore delle Scritture. Non si tratta di un amore semplicemente dichiarato, ma il suo costato aperto è sorgente di vita per quanti sono amati» (101). Per questo l’enciclica ripropone la prospettiva della «riparazione chiesta dal Cuore del Salvatore» (182), non «come una sorta di primato dei sacrifici o di adempimento moralistico» (138), ma consistente essenzialmente nell’«offrire al Cuore di Cristo una nuova possibilità di diffondere in questo mondo le fiamme della sua ardente tenerezza», con «atti di amore fraterno con cui curiamo le ferite della Chiesa e del mondo» (200), poiché «in mezzo al disastro lasciato dal male, il Cuore di Cristo ha voluto avere bisogno della nostra collaborazione per ricostruire il bene e la bellezza» (182).
Anche il nostro Padre Pio, citato nell’Enciclica tra i santi della nostra epoca devoti del Cuore di Gesù, può aiutarci in questa diffusione del Vangelo dell’Amore con la spiritualità oblativa vissuta e insegnata, con la carità operosa dimostrata e con il «costato aperto» che lo ha reso «immagine di Cristo», continuando a compiere quella «missione» cominciata quando aveva solo «cinque o sei anni», dinanzi al Cuore di Gesù che gli apparve nella chiesetta di Sant’Anna della natia Pietrelcina (cfr. Positio, III/1, p. 213).