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Dalla morte all’incontro col Risorto

Anno LVI – n. 11 –Novembre 2025

di fr. FRANCESCO DILEO, OFM Cap.

Chissà quante volte, nei momenti di solitudine e di silenzio, ciascuno di noi si è confrontato con la prospettiva della propria morte. Un pensiero che, ordinariamente, diventa più ricorrente con l’aumentare dell’età e con la percezione di avvicinarsi sempre di più a tale traguardo.

Non è facile prendere in considerazione il termine della nostra esistenza terrena con assoluta tranquillità, senza essere turbati da sentimenti di tristezza, presupponendo di doversi separare dalle persone care, o di paura, di come avverrà il “passaggio” e di “cosa” troveremo oltre la soglia.

Non è comune avere una fede tanto granitica e inossidabile da riuscire a liberarsi del tutto da queste due tentazioni.

Padre Pio si è confrontato con la possibile imminente interruzione della sua vita fin dagli anni della giovinezza, perseguitato da una misteriosa malattia che nessuno riusciva a debellare e che sembrava destinata a non lasciargli scampo. Ci pensava, e spesso, alla morte. Ma non con l’angoscia di doverla subire prematuramente, bensì con il desiderio di poter fare esperienza piena ed eterna di quel Signore che si era fatto a lui presente attraverso esperienze mistiche non comuni, ma pur sempre limitate dal suo stato di creatura immersa nel tempo, nello spazio e nella dimensione corporea. L’unica catena che lo teneva ancora legato alla terra e che attenuava la gioia di poter spiccare il volo era il pensiero dei tanti peccatori, ai quali non avrebbe più potuto indicare il percorso della conversione. Così ha svolto questo ministero fino all’ultimo giorno dei suoi 81 anni.

Ben più breve, fu, invece l’esistenza di san Francesco d’Assisi, che nel Cantico di frate sole definisce la «nostra Morte corporale» con l’aggettivo «sora», cioè “sorella”, per la quale loda il Creatore (cfr. FF 263). Aveva solo 45 anni «quell’anima santissima» quando «si sciolse dalla carne, per salire nell’eterna luce, e il corpo s’addormentò nel Signore» (FF 512). Sono passati quasi otto secoli (il prossimo anno commemoreremo l’ottavo centenario) da quell’evento e, ancor oggi, nell’epoca che sembra l’antitesi del suo stile di vita minoritico, ogni sera, il 3 ottobre, lo sterminato popolo dei suoi seguaci del primo, del secondo e del terzo Ordine ricorda la trasfigurazione che avvenne subito dopo il beato transito: «Il suo volto si fece bellissimo, splendente di mirabile candore e consolante a vedersi. Le membra, prima rigide, divennero flessibili e pieghevoli qua e là come si volevano disporre, a guisa di un tenero fanciullo» (FF 310). Fu un chiaro segno della sua partecipazione alla resurrezione di Cristo, dopo essere stato associato alla sua passione e morte. Lo stesso significato possiamo leggere nella scomparsa delle stimmate sul corpo di Padre Pio, dopo il suo trapasso, senza lasciare alcuna cicatrice.

Sono “prodigi” che possono aiutarci a fortificare la nostra fede, come la edifica l’esempio di coloro che si congedano da questo mondo con la pace interiore che può scaturire solo dalla speranza in un oltre. È rimasta indelebile nella mia memoria, a tal proposito, l’ultima fase del calvario del compianto arcivescovo di Manfredonia – Vieste – San Giovanni Rotondo, mons. Michele Castoro. A chi andava a trovarlo nei giorni immediatamente precedenti alla sua dipartita, nella sua stanza del reparto di Oncologia di Casa Sollievo della Sofferenza, con una serenità che non riusciva a mitigare del tutto la sofferenza di un corpo prostrato dalla malattia, diceva: «Sono pronto ad andare incontro al Signore risorto».

Diventi anche per noi questa la corretta idea della morte: «Andare incontro al Signore risorto». Ci aiuterà a vivere meglio tale prospettiva e ad accettare la separazione terrena dalle persone che ci sono state e ci sono care.

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