
di fr. FRANCESCO DILEO, OFM Cap.
Il mese di marzo, con il miglioramento delle condizioni metereologiche conseguenti all’inizio della primavera, ridona ai nostri luoghi di fede legati alla presenza di san Pio da Pietrelcina una presenza consistente di pellegrini assetati di spiritualità, probabilmente quest’anno più numerosa di quelli precedenti, per effetto del Giubileo. È realistico, infatti, ipotizzare che quanti giungeranno dall’estero a Roma, per attraversare una delle Porte Sante e ottenere l’indulgenza plenaria, approfitteranno del viaggio in Italia per raggiungere altre mete in cui rinnovare il proposito di vivere secondo il Vangelo.
Questa prospettiva deve indurci a riflettere sul significato del pellegrinaggio, che è metafora di un itinerario esistenziale. Ogni credente è in cammino verso la terra promessa, che Gesù chiama Regno dei Cieli e che è la destinazione in cui si realizza la speranza del cristiano. Il “discorso della montagna” (cfr. Mt 5,1-12) ha come oggetto dell’insegnamento proprio questa meta, quale nuovo e definitivo stato delle relazioni degli uomini con Dio. In altri termini, le Beatitudini ci dicono chi sono i destinatari del Regno: coloro che hanno il cuore rivolto al Signore, i poveri in spirito, coloro che sanno creare il giusto distacco dalle realtà terrene, che non confidano nelle cose che hanno, che non ripongono la speranza nei discorsi e nei progetti umani ma solo in Dio, coloro che non soccombono di fronte alle prove della vita, perché la fede pone nei loro cuori alcune certezze: non c’è afflizione che non troverà sbocco nella consolazione futura; non c’è fame o sete che non sarà soddisfatta nell’eterna beatitudine; non c’è che misericordia per chi avrà usato compassione, umanità, perdono verso i fratelli su questa terra; non ci sarà che vita piena in Cristo per chi sarà stato mite e benevolo nelle sue relazioni umane o avrà lavorato per la pace e per la giustizia; non c’è felicità che in Dio.
Il messaggio evangelico delle Beatitudini ci ricorda, al contrario, che non c’è santità dove la vita è misurata secondo i parametri umani e terreni della ricchezza materiale, dell’egoismo, dell’arrivismo, dei godimenti, della prevaricazione sui fratelli, del potere oppressivo. Non c’è santità dove viene promossa la cultura dell’apparire, del facile successo, delle gratificazioni immediate e deleterie, dove viene soffocato il valore della vita e del rispetto di tutte le cose create. Non c’è santità dove Gesù non diventa il prototipo dell’uomo nuovo: con il suo esempio di donazione, di offerta, con la sua coraggiosa accettazione della croce, con il suo morire in obbedienza al disegno stabilito dal Padre.
Ecco perché i Santi, come Padre Pio da Pietrelcina, avendo seguito le orme di Cristo, diventano per noi modelli a cui rifarci, modelli da imitare per vivere il nostro pellegrinaggio su questa terra con lo sguardo sempre orientato alle cose di lassù.
Come per loro, anche per ogni pellegrino, deve diventare un impegno camminare sulla strada della santità, essere costanti nell’esercizio eroico delle virtù teologali.
Se ci poniamo in questa prospettiva, se abbracciamo questa condizione, cioè quella del vero discepolo del Signore, sentiremo rivolte anche a noi le parole di Gesù: «Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».