
di fr. FRANCESCO DILEO, OFM Cap.
Già dalla fine di novembre, le luci colorate, nelle vie o sui balconi delle città, i panettoni in bella mostra nei supermercati e nelle stazioni di servizio autostradali e le pubblicità televisive ci ricordano che siamo prossimi alla solennità del Natale del Signore. È, se così possiamo definirlo, l’avvento laico. Un avvento consumistico, che comunque è in grado di accendere nei nostri cuori la gioia dell’attesa di Colui che è venuto nella pienezza dei tempi per la nostra salvezza.
Ma cosa attendiamo in questo periodo? Aspettiamo di mettere un bambinello di terracotta o di plastica nella grotta del nostro presepe? Di partecipare a una delle Messe del 25 dicembre, per inebriarci nell’inusuale clima di spiritualità che si respira tra le abbondanti effusioni di incenso, con il sottofondo di commoventi e antichi canti liturgici? Pensiamo alla prossima, grande e generosa tavolata, che richiama, almeno in un giorno dell’anno, tutti i componenti della famiglia in un unico, festoso convivio?
Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci istruisce, affermando che i credenti, «celebrando ogni anno la liturgia dell’Avvento», attualizzano l’«attesa del Messia» e, «mettendosi in comunione con la lunga preparazione della prima venuta del Salvatore, […] ravvivano l’ardente desiderio della sua seconda venuta» (cfr. n. 524).
Ciò significa che, se vogliamo dare una connotazione autenticamente spirituale a questo tempo forte dell’anno liturgico, dobbiamo rivolgere il nostro sguardo prima al passato e poi al futuro. Dobbiamo anzitutto ricordare il disagio di Maria e Giuseppe in trasferta a Betlemme, costretti ad adagiare il neonato Gesù «in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio» (Lc 2,7). «Questo deve farci pensare – ci ha ricordato il grande teologo Papa Benedetto XVI – deve rimandarci al rovesciamento dei valori che vi è nella figura di Gesù Cristo, nel suo messaggio. Fin dalla nascita Egli non appartiene a quell’ambiente che, secondo il mondo, è importante, è potente. Ma proprio quest’uomo irrilevante e senza potere si rivela come il veramente Potente, come Colui dal quale, alla fine, dipende tutto. Fa quindi parte del diventare cristiani l’uscire dall’ambito di ciò che tutti pensano e vogliono, dai criteri dominanti, per entrare nella luce della verità sul nostro essere e, con questa luce, raggiungere la via giusta» (L’infanzia di Gesù, Rizzoli-LEV, 2012, p. 80).
La contemplazione dell’Incarnazione di Cristo, nel presepe o nella pur suggestiva cornice delle liturgie natalizie, non ci deve dunque inchiodare alla semplice e puerile esperienza emozionale, ma ha la missione di indicarci la strada giusta per l’incontro, il nostro personale incontro, con Colui che è venuto e che continua a venire, in ogni Messa sull’altare, fino al suo ritorno definitivo alla fine dei tempi.
Ma qual è questa strada? E dove ci conduce?
Ce lo rivela un augurio del servo di Dio, don Tonino Bello, il compianto vescovo di Molfetta, presidente nazionale di Pax Christi e terziario francescano. Un augurio che faccio mio e che rivolgo a ciascuno di voi, amici lettori della nostra rivista: «Il Natale vi porti la pace interiore e un desiderio incontenibile di divenire più umani. Che poi significa: romperla con l’egoismo, riscoprirsi nel petto un cuore di carne, e vivere un’esperienza più degna di Colui che è sceso dal cielo» (Fatti per essere felici, Ed Insieme, 2006, p. 107).
Buon Natale!