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Il Rosario: non solo formule ripetute

del numero: Anno XLIX n. 5 Maggio 2018

di fr. FRANCESCO SCARAMUZZI OFM Cap.

 

Sarà capitato a tutti, in un momento di delusione e tristezza o di soddisfazione e gioia, di ritrovarsi a recitare un’Ave Maria; oppure di essere entrati in una chiesa, magari durante un viaggio o una passeggiata, e di essersi accostati a una bella immagine della Madonna e di aver levato una preghiera silenziosa. O ancora, chi di noi non conserva il ricordo di una persona cara, i propri nonni, i propri genitori, o la propria zia, con la corona del Rosario nelle mani, immersa in una preghiera silenziosa.
Sin dall’infanzia, per la maggior parte di noi, la preghiera semplice dell’Ave Maria è compagna di viaggio: abbiamo visto altri recitarla, l’abbiamo recitata noi, a volte per abitudine, a volte per bisogno, a volte consapevoli che in quel momento ci stavamo rivolgendo a chi si è fatta complice e compagna della nostra quotidianità: la Madonna.
È indubbio, soprattutto oggi, che per molti la recita del Rosario costituisca una ripetizione di parole e di formule senz’anima, che mortificano la spontaneità; un meccanismo consolatorio, con il quale ci si protegge dalle difficolta e si prova a esorcizzare la paura; un residuo di medioevo. Per altri, la Corona del Rosario non è più che un talismano, un portafortuna da tenere in tasca, o da esibire al collo come un accessorio di moda. Eppure, il Rosario contiene in sé profonde ragioni teologiche che spesso ci sfuggono: con esso ripercorriamo la storia della salvezza in compagnia di Maria; ci abituiamo a consacrare il tempo del giorno a Dio; rileggiamo la nostra vita, fatta di piccoli grani sempre uguali, ma tenuti insieme dal filo del mistero, che dà loro unità e significato.
Certo, il rischio che finisca in stanca ripetizione, in incessante abitudine senza novità, è alto. Ma come in tutte le cose della vita – essa stessa fatta di abitudine e di gesti ripetuti, quasi sempre uguali – da questo rischio ci si salva comprendendone il significato, cioè la realtà a cui rimanda, e partecipandovi intimamente. Nella recita del Rosario, infatti, il dover ricominciare sempre sta a indicare la necessità di recuperare quegli avvenimenti della storia della salvezza, che Gesù ha portato a compimento, aderendovi profondamente con il cuore e con la mente. Se ci pensiamo bene, né più né meno di quanto succede nella vita e con la vita: si riparte sempre da quelle decisioni fondamentali, che hanno dato indirizzo alla nostra vita, per recuperarne l’attualità e la freschezza, rinnovandole giorno per giorno.
San Pio è stato uno specialista del quotidiano. La sua giornata era fatta di gesti sempre uguali e di impegni ripetuti. Difficile, rileggendo la sua vita, trovare momenti di assoluta novità: preghiera, confessioni, ricreazione con i confratelli e gli amici erano i cardini della sua giornata. Mai un viaggio, mai un’uscita dal convento, se non breve e per motivata necessità. In questo schema, non mancava mai la recita del Rosario, vero punto fermo della sua giornata. Non sappiamo quanti Rosari recitasse ogni giorno; qualcuno, forse esagerando, arriva a parlare di «centinaia». A noi poco interessa quanti fossero. Quello che invece ci interessa è il motivo e lo spirito che lo spingevano a farlo: è un atto di amore. Egli, infatti, esortava: «Amate la Madonna e fatela amare. Recitate sempre il Rosario».

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