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«È bene tenere nascosto il segreto del re»

Anno LV – n. 10 – Ottobre 2024

di fr. FRANCESCO DILEO, OFM Cap.

La provvidenziale coincidenza che ci ha permesso di commemorare l’ottocentesimo anniversario della stimmatizzazione di san Francesco d’Assisi nel quarto giorno della novena in preparazione alla festa liturgica di san Pio da Pietrelcina, ha consentito a molti, predicatori e commentatori, di mettere in evidenza le analogie che hanno accomunato le esperienze mistiche dei due prescelti dal Signore per diventare sue immagini crocifisse, in altrettante epoche critiche della storia dell’umanità. Ponendola sulla stessa scia, voglio aggiungere un’ulteriore riflessione, nel mese in cui la Chiesa onora la memoria del Patrono d’Italia: entrambi hanno custodito il prezioso dono ricevuto da Dio nello scrigno dell’umiltà. Nella Vita prima, Tommaso da Celano, riferendosi a Francesco, scrive: «Ben pochi ebbero la fortuna di vedere la sacra ferita del costato del servo del Signore stimmatizzato mentre egli era in vita. Ma fortunato frate Elia che, ancor vivente il Santo, meritò di scorgerla almeno, e non meno fortunato frate Rufino che la poté toccare con le proprie mani. Mentre una volta gli praticava una frizione sul petto, la mano gli scivolò, come spesso capita, sul lato destro e così toccò quella preziosa cicatrice. Francesco ne sentì grande dolore e allontanò la mano, gridando che Dio lo perdonasse. Infatti con ogni cura teneva nascosto il prodigio agli estranei, ma anche agli amici e ai confratelli, tanto che non ne seppero nulla per lungo tempo perfino i suoi seguaci più intimi e devoti. Questo fedelissimo discepolo del Signore, pur vedendosi ornato con tali meravigliosi segni, quasi perle preziosissime del Cielo e coperto di gloria e onore più d’ogni altro uomo, non se ne gonfiò mai in cuor suo, né mai cercò di vantarsene con alcuno per desiderio di gloria vana, al contrario, temendo sempre che la stima degli uomini gli potesse rubare la grazia divina, si industriava il più possibile di tenerla celata agli occhi di tutti» (FF, 486).Anche Padre Pio, ancor prima che il Sant’Uffizio ordinasse che «per nessun motivo egli mostri le così dette stimmate», aveva scelto di tenere un atteggiamento di grande riserbo. Addirittura, quando comparvero i primi segni a Pietrelcina, ne informò il suo ministro provinciale, padre Benedetto da San Marco in Lamis, che era anche il suo direttore spirituale, a distanza di dodici mesi, ammettendo: «Questo fenomeno è quasi da un anno che si va ripetendo […]. Non s’inquieti però se adesso per la prima volta glielo dico; perché mi sono fatto vincere sempre da quella maledetta vergogna. Anche adesso se sapesse quanta violenza ho dovuto farmi per dirglielo!» (Epist. I, p. 233). Anche dopo la stimmatizzazione permanente, avvenuta a San Giovanni Rotondo il 20 settembre 1918, «cercò di nascondere i segni della passione colle maniche dell’abito e prendendo fra le dita i lembi di uno scialle […]; poi gli permisero di portare guanti interi e finalmente i mezzi guanti» (Le stigmate di Padre Pio da Pietrelcina, p. 142), obbedendo alla raccomandazione che, nel 1911, gli aveva scritto padre Benedetto: «Non manifestare niente a nessuno perché: secretum Regis abscondere bonum est». Quest’ultima frase, tratta dal Libro di Tobia (12,7), è oggi tradotta nella Sacra Scrittura con: «È bene tenere nascosto il segreto del re» e può essere illuminata da un altro passo della Bibbia, non a caso scelto fra le letture della memoria liturgica di san Pio da Pietrelcina: «Non si vanti il sapiente della sua sapienza, non si vanti il forte della sua forza, non si vanti il ricco della sua ricchezza. Ma chi vuol vantarsi, si vanti di avere senno e di conoscere me, perché io sono il Signore che pratico la bontà, il diritto e la giustizia sulla terra, e di queste cose mi compiaccio» (Ger 9,22-23). Così ha vissuto Francesco in Assisi. Così è vissuto Pio a San Giovanni Rotondo. Così sono chiamati a vivere i loro devoti.

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