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Abbiamo bisogno di speranza

Anno LV – n. 1 – Gennaio 2024

di fr. FRANCESCO DILEO, OFM Cap.

Il 2024, nel quale ci siamo appena introdotti, ci fa scoprire un desiderio di felicità, o almeno di serenità, sensibilmente più intenso rispetto agli anni precedenti. Nello scorso mese di gennaio auspicavamo la fine dell’incubo della pandemia. Ma, di fatto, negli ultimi 12 mesi, il Covid ha solo attenuato ma non eliminato il rischio di letalità, soprattutto nei confronti dei più fragili. Ci siamo augurati che, nel corso del 2023, gli sforzi della diplomazia internazionale avrebbero ottenuto la fine del conflitto in Ucraina. Invece morte, sofferenza e terrore continuano a sconvolgere la vita di una popolazione sempre più allo stremo, mentre un’altra cruenta guerra è divampata in quella che la maggior parte dell’umanità considera Terra Santa. Attendevamo un’attenuazione della crisi economica. Abbiamo ottenuto solo qualche segnale di ripresa, appena percettibile e che ha solo lambito la capacità di spesa delle famiglie comuni.

Ora ci ritroviamo tutte queste aspettative, intatte e aumentate, nuovamente dinanzi all’alba di un nuovo anno, in cui si fronteggiano, dentro di noi, due sentimenti opposti: la delusione, con il rischio che sfoci in scoraggiamento, e la speranza.

La speranza è, certamente, una virtù cristiana, ma è anche un bisogno primario dell’uomo. Karl Menninger, considerato uno degli psichiatri americani più autorevoli in un altro periodo critico per l’intera umanità, il secondo dopoguerra, fu il primo a sottolinearne l’importanza nella spinta motivazionale e la definì un’«attesa positiva», avendo osservato il suo ruolo primario nel successo del percorso terapeutico dei suoi pazienti.

Abbiamo, dunque, bisogno di speranza. Abbiamo bisogno di credere che il futuro verso cui siamo protesi sarà migliore del presente. Ma non possiamo aspettarci sempre tutto dall’Alto e dagli altri. L’ormai famosa frase «homo faber fortunae suae», attribuita allo scrittore romano precristiano Appio Claudio Cieco e resa celebre dai pensatori rinascimentali, pur non potendo essere condivisa nella sua accezione letterale radicale, può costituire uno stimolo per comprendere le responsabilità di ciascun individuo.

Nessuno può ritenersi escluso dalla possibilità di fare la propria parte per l’edificazione del Regno di Dio, anche su questa terra. Non è, questo, un compito riservato ai soli ministri ordinati. Ce lo conferma san Pio da Pietrelcina, in una lettera scritta 110 anni fa a una sua figlia spirituale, la nobildonna foggiana Raffaelina Cerase, in cui si legge: «Non tutti siamo chiamati da Dio a salvare anime ed a propagare la sua gloria mediante l’alto apostolato della predicazione; e sappiate pure che questo non è l’unico e solo mezzo per raggiungere questi due grandi ideali. L’anima può propagare la gloria di Dio e lavorare per la salvezza delle anime mediante una vita veramente cristiana, pregando incessantemente il Signore che “venga il suo regno”, che il suo santissimo nome “sia santificato”, che “non c’induca in tentazione”, che “ci liberi dal male”» (Epist. II, p. 70).

Sono, dunque, a disposizione di ogni uomo di buona volontà, anche il più umile e socialmente meno considerato, due “armi” potentissime per distruggere odio e brama di sopraffazione, sulle cui rovine si potrà edificare la cultura dell’amore, presupposto indispensabile per la pace. Queste due “armi” sono l’esempio e la preghiera. Facciamone buon uso e saremo in grado di dare il nostro piccolo, ma importantissimo, contributo a prepararci un futuro migliore e, nell’attesa, otterremo anche un risultato immediato: la serenità che scaturisce dalla speranza.

Buon anno!

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