
di fr. FRANCESCO DILEO, OFM Cap.
Ero anch’io in Piazza San Pietro nel pomeriggio di quell’indimenticabile 8 maggio scorso. Accompagnato da alcuni confratelli e circondato da una grandissima moltitudine di fedeli, delle cui dimensioni mi sono reso conto solo successivamente, rivedendo in tv le immagini dell’evento, ho vissuto l’emozione di vedere il fumo bianco uscire dal comignolo della Cappella Sistina; ho avvertito una sensazione di dubbio, temendo che quel candore potesse essere un’illusione ottica causata dagli ultimi raggi di sole, ormai prossimo ad eclissarsi dietro alla maestosa Basilica e, infine, ho provato l’esaltante certezza di essermi trovato nel momento giusto al posto giusto, quando le campane hanno cominciato a suonare a festa.
Da quel momento è cominciata un’attesa che sembrava interminabile. È stato necessario aspettare quasi un’ora prima di vedere la solenne tenda della loggia centrale aprirsi per consentire al cardinale protodiacono, Dominique Mamberti, annunciare l’Habemus Papam. Nel giro di pochi minuti abbiamo appreso il nome dell’eletto e quello scelto per servire la Chiesa come pastore supremo, che ha suscitato nella folla una reazione di perplesso silenzio. Una sorpresa dopo l’altra. Il card. Prevost non era fra i cosiddetti “favoriti”. Solo qualche vaticanista lo aveva inserito in un’ampia rosa di “papabili”. Di conseguenza non erano circolate molte notizie sulla sua persona, peraltro chiamata da poco più di due anni a ricoprire due importanti incarichi nella Santa Sede: prefetto del Dicastero per i Vescovi e presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina. È stato inutile, quindi, chiedere informazioni a chi mi stava intorno, anche a sacerdoti e religiosi. Molti, inoltre, si aspettavano un Francesco II o, tutt’al più, un Giovanni Paolo III, considerando che Joseph Ratzinger era apparso in controtendenza scegliendo di chiamarsi come uno dei predecessori dei primi del Novecento. Il neoeletto, invece, con grande libertà interiore, si voluto imporre il nome Leone, come il Pontefice che ha accompagnato l’umanità a varcare la soglia fra il XIX e il XX secolo, che ha avviato l’azione di pacificazione tra il Papato e lo Stato italiano e tra il proletariato e il potere economico, che volle rafforzare la dottrina rimettendo a fondamento della teologia e della filosofia il pensiero di san Tommaso d’Aquino, che dedicò ben nove encicliche e sette lettere apostoliche alla Vergine Maria e che favorì un’ampia diffusione della recita del Rosario.
Non a caso, la prima parola del primo discorso di Leone XIV, prima di benedire la città e il mondo, è stata «pace». E non a caso, sulla base della sua formazione nell’Ordine di Sant’Agostino e della sua esperienza missionaria, Papa Prevost ha sintetizzato, sempre in quel primo discorso, gli obiettivi del suo Pontificato in una frase eloquente: «Dobbiamo cercare insieme come essere una Chiesa missionaria, una Chiesa che costruisce ponti, dialogo, sempre aperta a ricevere, come questa piazza con le braccia aperte, tutti coloro che hanno bisogno della nostra carità, della presenza, del dialogo, dell’amore».
Auguri, Santo Padre, di un proficuo ministero petrino. Noi, frati minori cappuccini e confratelli di Padre Pio, invocando la sua intercessione, la sosterremo con la nostra preghiera, affinché il Signore le consenta di raccogliere una messe abbondante, frutto del suo impegno, pacificato e pacificante.