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«Sine ira et studio»

Anno LVI – n. 4 – Aprile 2025

di fr. FRANCESCO DILEO, OFM Cap.

Anche quest’anno la Pasqua coglie l’umanità in periodo storico dove la serenità, la pace e la gioia sembrano sempre più effimere. Nei telegiornali la cronaca nera o di guerra è diventata un imperativo, quasi una condanna all’angoscia.
Ma proprio in questo contesto caratterizzato dalla prova, devono emergere con forza le nostre virtù teologali: la fede, per riscoprirci figli amati dell’Onnipotente e, di conseguenza, per abbandonarci completamente alla sua volontà misericordiosa; la speranza, che si fonda proprio sulla vittoria di Cristo sulla sofferenza e sulla morte, nella prospettiva della vita eterna; la carità, che deve renderci strumenti, umili ma determinati, nella costruzione di un futuro migliore già su questa terra.
Fermi restando la responsabilità e il dovere dei capi di Stato e di Governo nell’orientare l’esercizio del loro potere non alla crescita economica, personale o del proprio popolo, ma al benessere di ogni uomo, di qualunque razza, nazione, cultura, ognuno di noi deve sentirsi e diventare costruttore di quell’armonia cosmica che nasce dalla consapevolezza di essere tutti fratelli. Possiamo, infatti, pregare e offrire le nostre sofferenze per la fine dei conflitti armati, come ha fatto Padre Pio. Ma possiamo anche riscoprirci mediatori di concordia, impegnandoci a non essere strumento di divisione bensì catalizzatori di riconciliazione.
Tra i vari messaggi whatsapp che ormai inondano quotidianamente i nostri telefoni, mi è capitato casualmente di soffermarmi a leggerne uno che mi ha sorpreso per la sua capacità di sintetizzare in poche righe un pensiero profondo e quanto mai attuale. Voglio condividerlo con voi: «“Sine ira et studio” (Senza ostilità e partigianeria). È l’espressione latina, che possiamo intendere come enunciato con cui si indica l’imparzialità nell’esprimere un giudizio su qualcuno o qualcosa, ripresa dagli Annales di Tacito. Lo storico di duemila anni fa dichiara, in esordio, di voler narrare fatti che riguardano le vicende dell’Impero Romano dal 14 al 68 d.C., senza far prevalere alcun pregiudizio, cioè senza rabbia né calcolo da cui ricavare un vantaggio personale. In altri termini, in assenza di giudizio. È il proposito di chi oggi, tacendo per dovuta correttezza pregiudizi ed animosità, è chiamato ad esprimere pubblicamente un parere su un collega, un vicino di casa, così come su un fatto politico o sociale di rilievo in cui si renda necessario abbandonare, per un giudizio franco, l’avversione come la benevolenza».
Questo è un proposito che, se attuato nel quotidiano, ci può aiutare non solo a offrire un contributo saggio alla soluzione di tanti problemi, osservandoli con lo sguardo della verità, ma è in grado di prevenire l’insorgere di piccole contrapposizioni, presupposto necessario per quelle più grandi che rischiano di sfociare nella violenza.
Non a caso, nel libro “Giustizia e pace si baceranno”, Papa Francesco afferma che la pace è «artigianale: non la costruiscono solo i potenti con le loro scelte e i loro trattati internazionali, che restano scelte politiche quanto mai importanti e urgenti. La pace la costruiamo noi, nelle nostre case, in famiglia, tra vicini di casa, nei luoghi dove lavoriamo, nei quartieri dove abitiamo, aiutando un migrante che mendica in strada, visitando un anziano che è solo e non ha nessuno con cui parlare, moltiplicando i gesti di cura e di rispetto verso il povero che è il pianeta Terra, così maltrattato dal nostro egoismo sfruttatore, accogliendo ogni nascituro che viene al mondo, gesto che per santa Madre Teresa era un autentico atto di pace».
Se riusciremo a fare nostri tali impegni, certamente la prossima Pasqua avrà un senso più profondo per noi e contribuiremo a far risorgere, insieme a Cristo, un’umanità nuova, soggetta all’unica legge dell’amore.

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